Nei giorni scorsi è uscito questo articolo di Andrea Lanini sulla rivista STAMP TOSCANA (The news Community in Tuscany).
Si parla non solo del viaggio in Canada e negli Stati Uniti, ma anche di parole e della loro instancabile funzione creatrice.
Ghiaino (una specie di blog) (Pagina 15 di 16)
Meet the author/Incontro con l’autore.
Leonardo da Vinci Society & DIVE
A tea/conversation with author Michele Cecchini on his book “Per il bene che ti voglio” (Erasmo Edizioni, 2015).
Tuesday, March 22 at The Italian Cultural Institute, 601 Van Ness, SF 5:00pm, preceding the Institute’s official presentation.
Lorenzo, che divenne Lawrence
ma rimase Ferlinghetti.
1953, North Beach
San Francisco.
Nei bar di San Francisco si prepara l’Irish Coffee: caffè molto forte, con aggiunta di zucchero, whisky e panna.
In mezzo a un prato polveroso qualche volta bisognerebbe imbattersi in un una bicicletta rossa.
TELLUSFOLIO, portale di letteratura
Una recensione di Per il bene che ti voglio a cura di Marisa Cecchetti.
VirusLibro
Chiostro degli agostiniani, Empoli. Sabato 20 giugno 2015.
Pier Dario Marzi è un grande. Scrive con passione e competenza. Recentemente ha deciso di mettere on line, a disposizione di tutti, il materiale che ha elaborato in tanti e tanti anni di studio, di incontri, di conferenze, di corsi e di serate che ha tenuto un po’ in giro per la Toscana. E’ nato così un blog, La cruna del lago, che è una vera e propria miniera per gli amanti del cinema. Quelle di Dario non sono recensioni ma vere e proprie “letture” del testo cinematografico, condotte con un taglio analitico molto approfondito.
CIAO BORZ!
Abbiamo passato insieme così tanti momenti.
Ricordo una sera, lo scorso inverno, quando venni a trovarti al tuo studio di Pieve San Paolo. Mi misi subito a ridere della targa che avevi messo all’esterno: “Nobis sega interest”.
Era una sera fredda e umida e ricordo che al caldo di quella stanza parlammo per ore dei nostri progetti, delle cose da fare insieme e ciascuno per conto proprio. Scrivere il pezzo per il quotidiano, mi dicevi, ti costava sempre più fatica ma il gusto di rileggerlo ti ripagava. Mi dicevi che avevi un mezzo romanzo nel cassetto, parlava di America e ti sarebbe piaciuto portarlo a termine.
Ci dicemmo che è bello scrivere e chi se ne frega di ottenere onori quando si prova gusto nel rileggere una pagina, perché quella è la vera soddisfazione. Fu bello e imparai molto, quel pomeriggio.
Ogni volta che sei intervenuto a qualche incontro e sapevi che ero presente, non hai mai tralasciato di indicarmi tra il pubblico, mentre io divorato dall’imbarazzo mi ripiegavo e mi nascondevo e pregavo perché tu la smettessi. Una volta mi raccontasti che una lettrice aveva ravvisato una parentela tra la mia scrittura e la tua. Me lo dicesti con soddisfazione, la cosa ti aveva fatto piacere. Io ti risposi che potevi andare per avvocati e chiederle i danni.
Alla radio ci siamo esibiti, come tu dicevi, in “apocalittiche profezie e indecorosi luoghi comuni, sempre cercando di non sfigurare, noi e le nostre famiglie”. Nonostante le precarie condizioni di salute, non hai mai voluto mancare. Anche per telefono, durante una degenza in ospedale – “io dego”, esordisti.
Eri sempre il più vivace, il più intenso, il più vitale, mentre zoppicavi verso la postazione di fronte alla mia. Ancora ti vedo poggiare la tua pila di volumi sul tavolo e con le tue mani lunghe lunghe che un po’ tremolavano cercare la pagina da leggere, nel frattempo alzando lo sguardo per pigliarmi un po’ per il culo prima di cominciare. E quando cominciavamo, eri un leone: arguto, pronto, capace di giostrare la conversazione su più livelli, ribaltandola di continuo, con quella capacità tutta tua di dosare raffinatezze e espressioni gergali da “vecchia troia del linguaggio popolare”, come stamattina stessa mi hai scritto, in un messaggio che chi se lo immaginava fosse l’ultimo.
Il giorno dopo ogni trasmissione, mi scrivevi con entusiasmo di bimbo che continuavi a divertirti “come una merda” (sic) oppure che sembravamo aver cazzeggiato insieme da una vita. Avevi la rarissima virtù di chi adopera la parolaccia con quella grazia che la riscatta dalla volgarità e le attribuisce senso e pregnanza.
Hai sempre avuto tanti gesti d’affetto per me, tante righe e tante parole gentili, mi hai sempre incoraggiato. Ma non è di questo che voglio ringraziarti perché sarebbe un elenco troppo lungo.
Con te ho condiviso l’amore per la parola, quella parola che ti sfugge dalle dita e che è un po’ stronza, perché ti affascina e nello stesso tempo ti frega, accoltellandoti alle spalle. Dicevi così, più o meno.
Da te ho imparato che la forma è sostanza, nella scrittura e in tutto il resto: i tuoi modi eleganti sottintendevano la curiosità e l’amore per la vita di chi si accosta agli altri con gentilezza ed ha la capacità di ascoltare. Avevi la faccia tosta, ma non hai mai frequentato lo snobismo. Anzi, eri accogliente e invitavi alla chiacchiera. Una volta ti dissi che fare il Fillungo con te era come andare in processione: ti fermavi di continuo perché avevi una parola per tutti.
Ho apprezzato la tua goliardia soffusa che lasciava sempre aperto uno spiraglio al dubbio, al sospetto del paradosso e della presa di culo. Perché gli altri non dovevano mai capire se scherzavi o se dicevi sul serio. Era il tuo modo di comunicare che si può andare in profondità e nello stesso tempo ridere di tutto, e il fatto di non prendersi mai sul serio è un rimedio ai mali umani. Come quando mi raccontasti affranto dell’operazione in cui ti venne amputato il dito del piede e ti rammaricavi di non poter più indossare le infradito.
Ho sempre apprezzato e imparato dal tuo sguardo che andava oltre quello che si vede e credo che sia questa una delle cose più preziose che hai lasciato. Oltre alle parole, oltre ai libri a cui tenevi tanto.
Avrei di nuovo voluto ringraziarti per il truccheggiato che ci siamo bevuti l’altro giorno quando ci siamo fatti questo “serfi incazzato”. Ma non c’è stato tempo.
Se ne vanno i padri e ci si sente davvero soli.
“Rompere i coglioni è un talento che va esercitato quotidianamente”, mi hai detto una volta. Ecco, io ci provo ma non so se mi riesce. Ciao amico mio.
Michele