3000. No vabbé. Non esageriamo. Facciamo 2500.
Tempo fa insieme a un mio amico abbiamo fatto il calcolo di quanti libri grosso modo si leggono nell’arco di una vita.
Abbiamo cercato di starci larghi: se si inizia a 15 anni e si legge fino agli 80, con una media di un libro per settimana, cioé 4 al mese cioé 48 all’anno, si arriva grosso modo a 3000. Per l’esatezza, 3120. Ora, tenendo conto che una media del genere è fin troppo ottimistica, ci siamo assestati sulla più ragionevole cifra di 2500 e forse saremmo dovuti scendere ancora.
Insomma, nel corso della propria vita un lettore accanito (e longevo) mette insieme 2500 volumi. Pochissimi.
Michele Cecchini (Pagina 13 di 16)
Venerdì 31 marzo 2017, ore 18,00
MONDADORI BOOKSTORE, LIVORNO
Le parole sono un prodigio. Ogni parola, nessuna esclusa. Anche quelle apparentemente sgangherate e goffe.E sono più quelle da ascoltare che quelle da dire. La parola nomina le cose e così facendo le crea.
Nuvoloni. Così venivano chiamati i francesi nel corso delle prime occupazioni napoleoniche a Livorno. Il termine deriva dalla storpiatura di Nous voulons… Nous voulons… che scandiva la lettura in piazza degli editti con cui i francesi stabilivano le regole esigendone il rispetto. Ovviamente i livornesi non potevano che manifestare insofferenza verso le imposizioni. A partire proprio da quel Nuvoloni, espressione che racchiude in sé tutta l’irrisione nei confronti dell’autorità.
Sciabigotto. Termine popolare lucchese, tuttora in uso. Sinonimo di ‘buono a nulla’, ‘incapace’, potrebbe essere di matrice versiliese, poi importato. In questo caso, farebbe riferimento alla rete sciabica utilizzata dal pescatore che, ormai non più in grado di andare per mare aperto, è costretto a rimanere nelel acque basse. Oppure il termine potrebbe derivare dalla commistione di ‘sciapito’ e ‘bigotto’. Un’altra ipotesi ancora chiama in causa gli ufficiali dell’esercito napoleonico, che avrebbero apostrofato i cittadini lucchesi come chiens bigots (ovvero: ‘cani bigotti’), poiché restii ad applicare le norme dell’Editto di Saint Cloud.
Nuvoloni e sciabigotti. Dominatori e dominati. Oltraggiosi e vilipesi. Comunque sia, c’è un luogo ribelle e allergico alle regole che contesta l’autorità. È la funzione creatrice della parola.
Dago. Cambia il contesto, fondamentale per le parole. Non è più quello italiano ma americano. Eppure Dagos fa riferimento agli italiani o, meglio, è uno dei tanti epiteti insultanti cui gli americani ricorrevano per indicare gli italiani.
Di ‘Dago’ si registrano diverse varianti: Black Dago, Dago Red, Chianti Dago e così via. Chi ha letto i romanzi di John Fante, si è imbattutoin questo termine. L’etimologia anche per ‘Dago’ è incerta ma qualsiasi ipotesi è illuminante circa il ruolo degli italiani oltreoceano e la loro condizione. Il termine potrebbe derivare da They go, ad indicare gente che va e viene, che si sposta di continuo. Oppure da Dingo, il cane selvatico australiano.Altra ipotesi: dall’espressione Until the DAY GOES, cioé: finché dura il giorno. Un datore di lavoro non se la sentiva di assumere un italiano in pianta stabile. Meglio prenderlo con un contratto a brevissimo termine: a giornata – ‘finché dura il giorno’, appunto.
LIBRIAMOCI
Una recensione di Lida Nieri sul blog Libriamoci a proposito di Per il bene che ti voglio.
Nei giorni scorsi ho avuto l’onore di presentare insieme a Federico Sardelli il Carteggio Borzacchini – Sardelli (1996-2014) edito da Erasmo. I due erano soliti scambiarsi frequentemente messaggi. Dopo la scomparsa di Giorgio Marchetti, Federico ha deciso di raccogliere e dare ordine a questo materiale vasto ed eterogeneo, che racconta di un’amicizia intensa e, fortunatamente per noi lettori, feconda. Son cose meravigliose che meriterebbero un libriccino. Perché non lo scriviamo io e te [o Te ed io] a due mani, riportando briciole, raccontini, ricordi e bozzetti di tutta la nostra æpopea? Secondo me si pubblica subito e darebbe gioia a tanti.
Insieme a noi, nella due giorni Lucca – Livorno (11 e 12 dicembre 2016) si sono alternati amici e membri del Sodalizio Muschiato.
The Howl, i Norbicciani, la City Lights, le americanate, i Giants e i 49ers, i Grateful Dead..
Questo e molto altro oggi pomeriggio nel nostro incontro delle 17,30 all’Hotel Universal di Livorno.
con Douglas A. Stewart
Reading a cura di Nicoletta La Terra.
Open door, Open mind, Open book, Open hearth non è uno slogan, non è tanto per dire. Davvero.
Volterra, ottobre 2016. Paolo Di Paolo (Una storia quasi solo d’amore, Feltrinelli), Pino Corrias (Dormiremo da vecchi, Chiarelettere), Michele Cecchini (Per il bene che ti voglio, Erasmo): i tre finalisti del Premio letterario “Ultima Frontiera”.
Innanzitutto, l’ambientazione: la Roma che i personaggi attraversano è intima, straniante, ed è osservata con uno sguardo “forte” e poetico al tempo stesso. Viene dosato con equilibrio l’espediente della cura attraverso i libri, inscrivendolo in un giallo che si dipana piano piano e che, guarda caso, proprio grazie ai libri si risolve. Mi pare un bell’atto d’amore per la letteratura e per la lettura. Mi è venuto in mente Truffaut.
Ogni “visita” che il protagnista riceve è per il lettore un pretesto per conoscerlo più in profondità. La commistione tra la trama e le riflessioni sulla letteratura offrono una miriade di spunti e soprattutto di letture a più livelli, che qualche volta l’autore suggerisce e qualche altra volta lascia impliciti, dando la possibilità al lettore di muoversi autonomamente.
Nel nuovo numero di Cinema Sessanta, Erica Barbaro scrive di emigrazione e cita Per il bene che ti voglio. Luglio 2016.