MARCOVALDO PUNK, ovvero: Del ramerino proustiano
Il libro di Pilade Cantini MARCOVALDO PUNK, uscito qualche tempo fa per le Edizioni Clichy, mi è piaciuto parecchio.
Il sottotitolo potrebbe essere fuorviante: Un comunista a Palazzo Chigi. Perché se è vero che il libro prende le mosse dall’incarico svolto dall’autore negli anni dei governi Renzi e Gentiloni, d’altra parte questo testo non è un saggio di politica né sono cronache ‘di Palazzo’.
Queste sono solo le premesse, il pretesto per raccontare tutt’altro: ovvero, la Toscana e la storia di uno sguardo.
Il libro di Pilade trasuda un amore enorme per la Toscana, presente decisamente nell’impasto linguistico del testo. Ogni circostanza è buona per richiamare, nostalgicamente, il borgo di venti-trenta abitazioni dove l’autore vive. Anzi nella periferia di quel borgo, come tiene a precisare: dopo la nostra ruga di case c’è il bosco e poi il cimitero. E poi finisce la strada.
Date queste premesse, si capisce che il trasferimento nel centro più centro di Roma è un bel salto, e lo sguardo di Pilade-Marcovaldo, di per sé genuino, ingenuo, diviene incerto nell’affrontare le stagioni in città. Un albero. Darei cent’euro per abbracciare un albero.
Se il personaggio di Calvino andava alla ricerca dei funghi, questo di Cantini dà a caccia al ramerino, come è chiamato dalle sue parti il rosmarino. Ci tocca comprare il ramerino. Non è una cosa normale, dice. Il segno di una distorsione, di una delle tante disarmonie con cui Pilade fa i conti in maniera leggera, ironica, divertita.
L’incarico svolto a Palazzo Chigi, quanto a straniamento, non è da meno. Il protagonista ci presenta in rassegna una carrellata di personaggi, alcuni appartenenti a quelli che lui chiama “del Contado magico”, non trattandosi di “Giglio”, visto che nessuno è fiorentino. E poi le trattorie, gli amici e, sempre a incombere, il senso di solitudine.
Mentre Marcovaldo-Pilade leggere e smista i messaggi di posta elettronica destinati al Presidente del Consiglio (diverse centinaia al giorno), attraverso i quali cercare anche di intercettare gli umori del Paese, la sensazione di spaesamento si rafforza: Lavorare a Palazzo Cigi, al primo piano, quello col corridoio importante, è come stare al centro di un vortice: non succede nulla.
Per cui, alla fine, per guardarsi intorno occorre recuperare le piccole cose di sempre: Ti capita di veder passeggiare in cortile persone con guardie del corpo, srotolare tappeti rossi e trombe e tromboni accordare le note per il capo della NATO che sta arrivando, ti capita di vedere generali in alta montura fare anticamera sulle seggioline accanto al tuo ufficio ma chi siano, e cosa ci facciano lì, lo capisci il giorno dopo, dall’articolo di un retroscenista sul giornale.
Marcovaldo Punk è la storia di uno sguardo tenero, imbarazzato, incantato e disincantato allo stesso tempo su cose troppo grandi, eppure trattate con distacco ed ironia. Ed è uno sguardo nostalgico rivolto costantemente alla Toscana, dove l’autore alla fine di questa avventura è rientrato, per starsene alle case del popolo a fare improvvisazioni in ottava rima: una pratica che io gli invidio da sempre, e lui lo sa.