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poesia dell’innocenza

– Il Padreterno che sa tutto… quando nasci, quando muori e chi può saperlo? No. ‘Un lo so a cosa serve questo sasso qui ma a qualcosa deve servire, perché se questo è inutile, allora è inutile tutto. Anche le stelle. Almeno credo. E anche tu… anche tu servi a qualcosa con la tu’ testa di carciofo.

Dal dialogo tra Gelsomina e il Matto ne La Strada, di Federico Fellini

Un incontro su Giulietta Masina, sabato 16 dicembre 2017, all’interno di Lezioni di Cinema al Museo del Mediterraneo di Livorno.

Miraggio e carteggio

Nel 1954 esce in Italia Geografia della fame, uno dei libri più conosciuti del sociologo brasiliano Josué De Castro, il quale voleva farne un film e per carteggio_dec_ross_zavquesto interpellò Cesare Zavattini. A un certo punto, mentre si va impostando il lavoro, si fa vivo Roberto Rossellini: anche lui vorrebbe girare una pellicola traendo spunto da quel libro.
Le lettere, le telefonate, i telegrammi che si scambiano i tre nel corso degli anni è un vero e proprio romanzo sulla realizzazione di un film: dalla scelta del genere (un documentario? una storia? un film a episodi?) al reperimento dei fondi, alla stesura della sceneggiatura, all’allestimento di una troupe.
Il film non verrà mai realizzato, ma di quel carteggio Maria Carla Cassarini ha realizzato per Edizioni Erasmo un bellissimo libro cui ho avuto la fortuna di collaborare.

Chet

bargajazz

Dalla metà del 1960 al dicembre 1961 nel carcere di Lucca fu recluso Chet Baker.
Durante il periodo di detenzione nel carcere di San Giorgio, gli venne concesso di suonare la tromba per alcuni minuti, un solo giorno alla settimana. Molte persone allora ogni volta si radunavano sulle mura, in corrispondenza della cella, per udire quelle esecuzioni.

Mi pare che questa  sia una bella metafora della capacità dell’arte di superare inesorabilmente e puntualmente le barriere e i muri, azzerando le distanze.
Questa foto l’ho scattata a Barga, nel corso di BargaJazz.

Angelica e le comete

Mercoledì 28 giugno 2017, ore 19,00
Biblioteca Labronica di Livorno, Villa Fabbricotti
Incontro con Fabio Stassi, a cura del gruppo di lettura della biblioteca.
Angelica e le comete è un libro poetico, animato dalla nostalgia per ciò che è irrimediabilmente perduto, eppure sopravvive.
Caldamente consigliato a chi ama La strada di Fellini.

Senza voce né sorriso

16992350_1402908823066169_3563548003765983441_o“Mi è stato chiesto perché mantengo nei miei film un’espressione particolarmente seria. La spiegazione è molto semplice. Fin dal mio esordio nel varietà ho potuto sperimentare che in un numero comico si riesce a far ridere il  pubblico tanto più quanto si resta indifferenti e poi quasi stupiti dall’ilarità del pubblico. In ultima analisi il film, per l’attore, è un’occasione per ‘fare l’idiota’: più sarà serio in questo e più risulterà divertente”.

Venerdì prossimo, 3 marzo, nell’Aula Magna dell’Istituto Vespucci di Livorno, parlerò di Buster Keaton in un incontro dal titolo: Senza voce né sorriso. Buster Keaton: titoli di coda. L’iniziativa è èparte del Corso di Cinema “…E poi anche le ombre si misero a parlare”, dedicato al passaggio dal muto al sonoro.

ghiaino  3000. No vabbé. Non esageriamo. Facciamo 2500.
Tempo fa insieme a un mio amico abbiamo fatto il calcolo di quanti libri grosso modo si leggono nell’arco di una vita.
Abbiamo cercato di starci larghi: se si inizia a 15 anni e si legge fino agli 80, con una media di un libro per settimana, cioé 4 al mese cioé 48 all’anno, si arriva grosso modo a 3000. Per l’esatezza, 3120. Ora, tenendo conto che una media del genere è fin troppo ottimistica, ci siamo assestati sulla più ragionevole cifra di 2500 e forse saremmo dovuti scendere ancora.
Insomma, nel corso della propria vita un lettore accanito (e longevo) mette insieme 2500 volumi. Pochissimi.

ghiaino Le parole sono un prodigio. Ogni parola, nessuna esclusa. Anche quelle apparentemente sgangherate e goffe.E sono più quelle da ascoltare che quelle da dire. La parola nomina le cose e così facendo le crea.

Nuvoloni. Così venivano chiamati i francesi nel corso delle prime occupazioni napoleoniche a Livorno. Il termine deriva dalla storpiatura di Nous voulons… Nous voulons… che scandiva la lettura in piazza degli editti con cui i francesi stabilivano le regole esigendone il rispetto. Ovviamente i livornesi  non potevano che manifestare insofferenza verso le imposizioni. A partire proprio da quel Nuvoloni, espressione che racchiude in sé tutta l’irrisione nei confronti dell’autorità.

Sciabigotto. Termine popolare lucchese, tuttora in uso. Sinonimo di ‘buono a nulla’, ‘incapace’, potrebbe essere di matrice versiliese, poi importato. In questo caso, farebbe riferimento alla rete sciabica utilizzata dal pescatore che, ormai non più in grado di andare per mare aperto, è costretto a rimanere nelel acque basse. Oppure il termine potrebbe derivare dalla commistione di ‘sciapito’ e ‘bigotto’. Un’altra ipotesi ancora chiama in causa gli ufficiali dell’esercito napoleonico, che avrebbero apostrofato i cittadini lucchesi come chiens bigots (ovvero: ‘cani bigotti’), poiché restii ad applicare le norme dell’Editto di Saint Cloud.
Nuvoloni e sciabigotti. Dominatori e dominati. Oltraggiosi e vilipesi. Comunque sia, c’è un luogo ribelle e allergico alle regole che contesta l’autorità. È la funzione creatrice della parola.

Dago. Cambia il contesto, fondamentale per le parole. Non è più quello italiano ma americano. Eppure Dagos fa riferimento agli italiani o, meglio, è uno dei tanti epiteti insultanti cui gli americani ricorrevano per indicare gli italiani.
Di ‘Dago’ si registrano diverse varianti: Black Dago, Dago Red, Chianti Dago e così via. Chi ha letto i romanzi di John Fante, si è imbattutoin questo termine. L’etimologia anche per ‘Dago’ è incerta ma qualsiasi ipotesi è illuminante circa il ruolo degli italiani oltreoceano e la loro condizione. Il termine potrebbe derivare da They go, ad indicare gente che va e viene, che si sposta di continuo. Oppure da Dingo, il cane selvatico australiano.Altra ipotesi: dall’espressione Until the DAY GOES, cioé: finché dura il giorno. Un datore di lavoro non se la sentiva di assumere un italiano in pianta stabile. Meglio prenderlo con un contratto a brevissimo termine: a giornata – ‘finché dura il giorno’, appunto.

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